
L’estate sta finendo. Quando i Righeira cantavano questa hit balneare, la Lega Lombarda viveva ancora i suoi albori. Umberto Bossi, già Senatur in quanto eletto a Palazzo Madama, aveva scoperto che la politica gli era più congeniale della medicina (alla sua prima moglie aveva fatto credere di essere laureato e usciva con la valigetta per recarsi in ospedale) e cominciava una stagione che, come quella delle vacanze, è ormai arrivata al termine. Era il tempo della questione settentrionale, del federalismo, della secessione, della devolution, del Carroccio “sindacato del Nord”, di “Roma ladrona”.
La Pontida di ieri ha chiuso il cerchio sulla Lega spostata all’estrema destra da Salvini: un partito ultrasovranista, monopolizzato dal generale Roberto Vannacci e ispirato al ricordo e alla lezione del militante maga ammazzato Charlie Kirk.
Roberto Castelli, ex ministro bossiano e anima del “Partito Popolare del Nord”, nato in antitesi alla nuova Lega salviniana per riportare al centro del dibattito politico gli interessi del Settentrione, ha detto che Pontida dovrebbe essere spostata a Grottaferrata, nel Lazio.
Vero forse, ma non è solo una questione geografica. Il raduno estivo inventato da Bossi si ispirava alla Lega dei Comuni del Nord che, nella località in provincia di Bergamo, avevano giurato di non far pace né stipulare tregue con l’imperatore Federico Barbarossa che, nella metafora del Senatur, incarnava lo stato usurpatore. Bettino Craxi, nel tentativo di asciugare l’acqua in cui nuotavano gli allora “lumbard”, aveva organizzato nella stessa Pontida un importante convegno sul federalismo, ma senza successo. Insomma, la Pontida di questi tempi ha perso il significato politico di quella originaria.
Ieri il generale Roberto Vannacci ha unito il giuramento alla X Mas (la flottiglia di assaltatori della Repubblica di Salò), proponendo di inserire entrambi nei programmi scolastici. Cosa tiene unite le due cose?
Al di là delle pennellate, una cosa è chiara: la Lega non c’entra più niente con quella di prima.
E se Matteo Salvini ha voluto trovare un tratto comune nella volontà dei vari establishment di annientare il movimento, ha fatto un paragone che regge fino a un certo punto. Perché gran parte dei ceti produttivi del Nord apprezzavano certo di più il partito di Bossi che non l’attuale, schierato oltretutto con Trump, quello dei dazi che stanno penalizzando non poco le imprese settentrionali.
Salvini ha voluto prima la Lega nazionale, per raccogliere consensi anche sotto il Po, poi quella ultra sovranista, forse nella speranza di occupare più spazio a destra, visto che Giorgia Meloni sta cercando, non senza fatica, di trasformare FdI in un partito ispirato al conservatorismo europeo. Il gioco però vale la candela? Alla luce degli ultimi risultati elettorali e dei sondaggi, il Carroccio mantiene più o meno gli stessi consensi di quello bossiano, allora rinchiuso nel ridotto del Nord. Certo, Salvini aveva fatto un exploit alle penultime elezioni europee. Ma, con ogni probabilità, solo perché era riuscito a intercettare quella fetta consistente di elettorato che dalla fine della Prima Repubblica si è spostato da un’elezione all’altra, passando di partito in partito. E che ora sembra solidamente ancorato, in buona parte, a FdI di Giorgia Meloni.
Passare da Luca Zaia a Roberto Vannacci (un tempo l’ideologo del movimento si chiamava Gianfranco Miglio), abbandonare il Nord per restare inchiodati all’8-8,5%, non sembra una grande idea.
Soprattutto per chi vive e lavora nelle regioni settentrionali e si era illuso che le cose per lui potessero migliorare. Invece si ritrova con un federalismo solo di nome (vedi la legge approvata all’epoca di uno dei governi Berlusconi) e con un’autonomia regionale impantanata, senza che Salvini dimostri la volontà di azionare la sua “ruspa” per tirarla fuori dalle secche. O forse, intende preservarla per sbancare il terreno su cui sarà costruito il Ponte sullo Stretto. Se la Lega di Bossi è stata una grande illusione, questa rischia di diventare una grande delusione.
@angelini_f
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