Pirandello e il Pd uno, nessuno,
centomila

Nel mitico sketch dell’Ottavo Nano di alcuni anni fa, Corrado Guzzanti nei panni di Walter Veltroni non poteva candidare premier Amedeo Nazzari perché “morto”. Lo stesso impedimento vale per il grande Luigi Pirandello al vertice del Pd, ed è un peccato perché l’autore di “Uno, nessuno , centomila” potrebbe davvero essere la persona adatta per guidare il partito più multiforme e in crisi d’identità della politica italiana. Un esempio mirabile è quello offerto al Parlamento europeo dove i dem sulla risoluzione che definisce la Russia Stato terrorista (non proprio un provvedimento che stabilisce la misura delle aringhe) sono riusciti a dire “sì”, “no” e ad astenersi. Così non si sbaglia, potrebbe dire qualcuno. Ma questo, e soprattutto il silenzio neppure assordante del gruppo dirigente sulla faccenda, è davvero emblematico di cosa sia oggi il Pd dopo la batosta elettorale che lo ha privato di quel potere al governo a lungo detenuto senza oltretutto quasi ma vincere un’elezione.

Con ogni probabilità era l’unica cosa che teneva insieme un partito che fin dalla culla non è riuscito a trovare un’identità, anche se ha saputo selezionare un più che valido personale politico alla base con i sindaci forse perché per amministrare un Comune non occorre una rotta politica precisa, o anche perché così si è rimasti lontani dalle faide al vertice che hanno sempre accompagnato il percorso dei vari martoriati segretari che si sono avvicendati nei primi quindici anni di vita.

Adesso l’onere toccherà a quanto pare a un emiliano. Oltre a Stefano Bonaccini, presidente della Regione Emilia Romagna e grande favorito, si è candidata Paola De Micheli, parlamentare piacentina e pare si accinga a farlo anche Elly Schlein vice dello stesso Bonaccini. Gli altri aspiranti leader della sarabanda delle primarie sono ancora alla corda. Il governatore emiliano oltre alla rituale dichiarazione di guerra contro le correnti che avrà l’effetto dell’acqua che liscia il sasso, pare orientato a trasportare nel partito il consolidato e ormai storico modello di governo emiliano, all’insegna di un riformismo capace di rigettare le radicalità a sinistra in nome di un connubio virtuoso tra capitale e lavoro come avviene nella Regione che vanta un Pil più che invidiabile. Auguri sinceri a Bonaccini anche perché, fino a pochi anni e soprattutto quando esisteva il Pci, avo del Pd con cui il barbuto presidente emiliano non ha avuto molto a che fare (proviene dalla “cantera” di Matteo Renzi) gli emiliani erano banditi dai posti di vertice perché considerati ottimi amministratori e pessimi politici.

Per questa ragione Bonaccini potrebbe, è un paradosso ma il Pd vive di paradossi, rappresentare tanto la scelta migliore quanto la peggiore nel multiforme partito. La migliore perché una cultura riformista in grado di affermarsi e superare alcune rendite di posizione un po’ retrò, ma ancora attive dentro il partito potrebbe finalmente realizzare un’identità. La peggiore perché comunque i dem rischierebbero di restare scoperti a sinistra e offrire una prateria ai Cinque Stelle revisionati da Antonio Conte e anche entrare in concorrenza con il Terzo Polo salvo costruire una sinergia con Calenda, ma anche assieme al vituperato Renzi. Il rischio di implosione nel Pd è sempre al livello di guardia. Vedremo cosa resterà una volta smantellato il luna park delle candidature, del congresso e delle primarie che tanto sembra appassionare e divertire quelli del Nazareno. E soprattutto come saprà il partito gestire una stagione all’opposizione che potrebbe non essere breve e che segue un lungo periodo di governo che potrebbe aver fatto perdere l’allenamento. Di certo il Pd pirandelliano “Uno, nessuno, centomila” non avrà il fiato lungo.

© RIPRODUZIONE RISERVATA