Sondaggi “pieni”
e rischio urne vuote

Una famosa massima di Pietro Nenni, storico patriarca del Partito socialista, recitava: “Piazze piene, urne vuote”. All’epoca, infatti, il comizio era l’unico modo per sondare l’opinione pubblica in vista di una consultazione elettorale. A volte, però, l’esito delle urne, specie per il Psi, non corrispondeva alle aspettative che si erano create.

Oggi l’unico elemento di pathos in una politica in cui i partiti sono stati sterilizzati dal presidente del Consiglio, Mario Draghi - che decide da solo perfino l’ipotesi, alquanto popolare, di scippare la finale degli Europei a Londra per portarla a Roma - è l’inseguimento, nei sondaggi, di Giorgia Meloni al sempre più declinante primato della Lega di Matteo Salvini. Obiettivo che appare alla portata di Fratelli d’Italia, tant’è che lo stesso Capitano, oltre che Silvio Berlusconi, stanno architettando formule come partito unico e federazione per imbrigliare la tenace alleata.

Ma i sondaggi di oggi non rischiano di essere come le piazze dell’epoca di Nenni? Un dubbio che potrebbe insinuarsi nella mente di Giorgia Meloni anche alla luce di quanto avvenuto domenica scorsa alle elezioni regionali in Francia. Le rilevazioni davano per vincitore il Rassemblement national di Marine Le Pen, ma le urne hanno premiato le forze politiche più tradizionali, soprattutto i neogollisti Républicains.

La situazione, Oltralpe, non appare così diversa da quella italiana. La consultazione di domenica, che peraltro sarà decisa dal ballottaggio, era considerata una sorta di test in vista delle elezioni per il nuovo presidente della Repubblica, con Le Pen in rampa di lancio per sfidare l’uscente Emmanuel Macron. I dati usciti dalle urne hanno messo in ambasce anche quest’ultimo, visto il risultato deludente del suo En Marche. Insomma, è un po’ come se si fosse votato da noi e a prevalere fosse stata Forza Italia, certo meno in salute del quasi omologo partito francese.

In Italia, come è noto, in autunno si terranno le elezioni comunali in molte grandi città: Roma, Milano, Napoli, Torino e Bologna. Anche queste consultazioni sono ritenute da molti un test, non tanto per l’elezione del capo dello Stato, che qui non avviene in maniera diretta, quanto per la scelta del prossimo Parlamento. Se la destra dovesse confermare quanto indicano i sondaggi e, soprattutto, se FdI superasse in maniera netta la Lega, anche il governo Draghi non avrebbe vita facile.

Tutto sta nel capire se davvero il virtuale coincide con il reale. Con il tempo è diventato sempre più difficile interpretare in maniera precisa le intenzioni di voto degli italiani. È venuto meno il senso di appartenenza per cui, una volta, chi era comunista difficilmente votava da un’altra parte, così come, anche se magari in maniera meno identificativa, accadeva per i simpatizzanti della Democrazia cristiana. Poi il consenso è diventato liquido, più difficile da sondare, per la tendenza a spostarsi con rapidità da una forza politica all’altra. Vero che oggi, almeno stando ai dati, siamo davanti a una certa cristallizzazione del bipolarismo dopo il declino dei Cinque Stelle, con le preferenze che sembrano muoversi solo all’interno degli schieramenti. C’è però la vera incognita che ha pesato nel voto francese: l’astensionismo. Alle Regionali, infatti, due elettori su tre hanno rinunciato al loro diritto: una percentuale mai vista e su cui, di certo, ha influito anche la pandemia. Perché una cosa è rispondere a una telefonata o barrare una casella sul pc a casa, altra è recarsi alle urne. In Italia, dove l’offerta politica è sempre meno allettante e le leggi per il voto anestetizzano la volontà del cittadino-elettore, il fenomeno potrebbe ripetersi. E rimescolare tutte le carte.

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