L’intervista a Dario Fabbri: «Economia italiana al sicuro. Paga l’asse con la Germania»

Dario Fabbri, analista esperto di geopolitica, affronta le ricadute delle principali crisi aperte in tutto il mondo: «Globalizzazione finita? No, la superiorità americana sui mari è intatta. Ucraina, probabile svolta a fine anno»

Geopolitica ed economia sono sempre più connesse tra loro o comunque è sempre più evidente, anche al mondo imprenditoriale e dei professionisti delle nostre province, il legame presente tra gli avvenimenti politici e militari globali e la congiuntura economica mondiale ma anche locale. La parola chiave è interdipendenza.

Ne è convinto Dario Fabbri, giornalista ed analista geopolitico, opinionista e direttore dallo scorso anno della rivista Domino edita da Enrico Mentana.

Prosegue nel cuore d’Europa il conflitto tra Russia ed Ucraina, con gravi conseguenze sul fronte umanitario e sociale ma anche sotto il profilo economico. Secondo le vostre analisi, quali sono gli scenari più probabili per i prossimi mesi?

Ci troviamo in una fase di stallo perché la controffensiva ucraina, iniziata nella tarda primavera, è molto lontana dal raggiungimento degli obiettivi prefissati. Sono stati riconquistati alcuni chilometri quadrati di territorio, ma l’operazione sembra destinata a fallire a livello generale. E siamo in una fase di stallo perché gli Stati Uniti hanno scelto di attendere l’esito della controffensiva ucraina prima di fare il punto sulla situazione e proporre soluzioni alternative. È comunque ormai evidente che, escludendo un intervento diretto della Nato che porterebbe alla terza guerra mondiale, gli ucraini non recupereranno mai i territori perduti e neppure una parte significativa di quanto conquistato militarmente dalla Russia. Ecco perché gli Stati Uniti stanno comunque iniziando a pensare ad una trattativa, ad un negoziato o almeno ad un congelamento del conflitto: una prospettiva che potrebbe farsi concreta tra la fine dell’autunno e l’inizio dell’inverno. Questo non significa, ovviamente, che Washington ritenga corretta l’annessione alla Russia della Crimea e del Donbass, ma anche nell’amministrazione Biden si inizia a pensare che non è nell’interesse degli Usa continuare ad impiegare risorse per una guerra che sta distraendo dal quadrante pacifico e dal conflitto latente con la Cina. Certamente i russi sarebbero felici di questa soluzione che, viceversa, non sarebbe presa bene a Kiev. Tuttavia, è chiaro a tutti che, senza gli armamenti, l’intelligence, ed il sostegno politico e diplomatico degli Usa all’Ucraina, la guerra terminerebbe domani mattina. Kiev infatti da sola non può proseguire questo conflitto. Ecco perché ritengo che, alla fine, si adeguerà alla scelta degli Stati Uniti.

Se invece si verificasse qualche incidente, magari al confine polacco, la Nato sarebbe coinvolta e, come ha detto, si andrebbe verso la terza guerra mondiale. Ritiene possibile questa ipotesi?

In questo momento ritengo il coinvolgimento della Nato improbabile ma non impossibile e quindi il timore per uno scenario apocalittico resta. Tuttavia, penso che questa ipotesi sia estrema, per la motivazione più ovvia: una guerra nucleare non conviene a nessuno.

Anche l’Africa sembra particolarmente inquieta in questa fase, con numerosi colpi di Stato che hanno portato al governo di alcuni paesi regimi ostili al mondo occidentale. Cosa sta accadendo?

Purtroppo da sempre tendiamo a sottovalutare l’Africa e ne parliamo soltanto in relazione alle rotte dei migranti. Ma sbagliamo, perché il continente africano rappresenta l’altra sponda del Mediterraneo e, di fatto, è il nostro vicino. Inoltre l’Africa è fondamentale per l’approvvigionamento energetico, specialmente dopo che abbiamo scelto di sganciarci dagli idrocarburi russi, e per le materie prime. Non solo: entro il 2030, il 40% della popolazione mondiale sotto i trent’anni di età sarà africana e quindi il continente africano nel prossimo futuro avrà più forze e più risorse rispetto a noi. Dobbiamo pensare all’Africa come ad un interlocutore importante da non abbandonare a se stesso, anche perché altri attori geopolitici internazionali potrebbero approfittarsene. L’Africa è un continente molto sofisticato, in cui si incrociano numerosissimi clan ed etnie che noi non conosciamo mentre russi, turchi e cinesi li conoscono bene e per questo stanno penetrando nel continente, anche da un punto di vista economico, al nostro posto. Anche i recenti colpi di Stato si iscrivono in questo quadro, soprattutto per quanto riguarda il Niger, un paese molto importante per l’esportazione dell’uranio. Non sappiamo se la caduta del presidente eletto sia stata dovuta a manovre dirette dalla Russia, ma comunque la giunta che si è insediata in Niger è filorussa e questa non è una bella notizia per l’Occidente.

Questo scenario geopolitico deve preoccupare i nostri imprenditori per le ricadute sull’economia locale?

Indubbiamente i conflitti nel mondo hanno conseguenze anche a livello economico e quindi la preoccupazione è presente. Gli effetti della guerra in Ucraina, ad esempio, si sono visti chiaramente sulle dinamiche dei prezzi. Tuttavia le nostre imprese, soprattutto quelle del centro e nord Italia, sono il fiore all’occhiello del sistema paese e sono inserite all’interno della catena di valore tedesca. Del resto questa situazione ci ha condotto nell’euro. Nei primi anni Novanta, infatti, la Germania ha accettato la presenza dell’Italia all’interno della moneta unica europea perché, in questo modo, il nostro paese non avrebbe più potuto proseguire con la politica di svalutazione della lira che ha tanto giovato al nostro export. Parliamoci chiaro: oggi l’euro è per noi fondamentale e ci tiene in vita e comunque non potremmo più attuare quella politica di svalutazione perché in quegli anni non erano presenti le altre grandi manifatture mondiali. Ma, in quel momento, la presenza dell’Italia nell’euro era conveniente per la Germania. E anche oggi si ripropone una situazione analoga: la Germania si impegna a garantire per noi davanti ai mercati internazionali, nonostante il nostro elevatissimo debito pubblico, perché l’industria italiana è fondamentale per quella tedesca, soprattutto per la produzione di componentistica. E si spiega in questo modo anche la mancata competizione tedesca contro l’Italia per approvvigionarsi di gas. In questo quadro, nonostante le turbolenze internazionali, non sono pessimista sulla situazione economica generale del nostro paese. Naturalmente resta fondamentale impiegare bene le risorse del Pnrr.

Per anni si è parlato della globalizzazione e dei suoi effetti. Possiamo dire oggi che la globalizzazione è finita?

Se per globalizzazione intendiamo la superiorità americana sui mari e quindi su tutto il resto, visto che il 90% delle merci viaggia via mare, quella globalizzazione resta intatta. Oggi però la Cina, numero due a livello mondiale, non vuole più essere socio di minoranza, ma vuole dire la propria, a modo suo: non è un paese democratico e non rispetta le regole commerciali internazionali. E poi c’è la Russia, un enorme impero decadente e in declino che prova a stare a galla aggredendo i paesi che ha intorno a sé. Gli americani non riescono più a tenere sotto controllo tutto quello che succede nel globo e, nello stesso tempo, il sentimento anti americano è diventato sempre più importante nel mondo, anche a causa delle recenti guerre sbagliate o comunque perse. Lo scenario è quindi molto diverso rispetto a quello di inizio secolo.

Oggi la geopolitica va molto di moda. È una scienza importante anche per un imprenditore?

Il fatto che la geopolitica vada di moda non è necessariamente un bene, perché il rischio è quello di annacquare messaggi complessi. Tuttavia, è indubbio il crescente interesse per la geopolitica da parte del mondo economico ed imprenditoriale: le imprese si trovano a navigare in un mondo sempre più complesso e sono quindi alla ricerca di punti di riferimento ed interpretazioni di quanto sta accadendo.

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