Democrazia: il lusso dell’uomo mannaro

Gustave Flaubert, che nutriva nei confronti degli esseri umani un disprezzo senza confini, scriveva che era più semplice spiegare la geometria a un imbecille piuttosto che un’idea a tre quarti delle persone di sua conoscenza.

La tipica arroganza francese, si dirà. Però anche Winston Churchill, che a sua volta riservava agli stessi esseri umani di cui sopra una disistima assoluta, sosteneva che il miglior argomento contro la democrazia era una conversazione di cinque minuti con l’elettore tipo. Forse la tipica sicumera britannica. O forse no. Forse questi due aforismi tanto spassosi quanto terribili ci dicono qualcosa di profondo e di particolarmente attuale, visto che sono anni ormai che alcuni concetti base della nostra storia, della nostra società, del nostro sistema di valori, quali la libertà e la democrazia, sono messi in discussione. E non tanto all’esterno dell’occidente, visto che il resto del mondo è sempre stato preda di dittature, autocrazie e anarchie, quanto invece proprio dal suo interno.

E non è affatto un tema di destra o di sinistra. Questa è la storiella che ci racconta la risibile vulgata sinistroide, che vede in qualsiasi cosa che non sia riconducibile al suo status quo, al suo establishment, al suo amichettismo terrazzista un avamposto del nuovo fascismo in armi. Ridicolo. Tanto quanto la storiella che ci racconta l’altrettanto risibile vulgata destroide, secondo la quale chiunque cerchi di far pagare le tasse ai soliti noti o di scalfire un milligrammo di potere a corporazioni parassitarie come taxisti e balneari sia un comunista. Ma questo è il tono del dibattito tra i nostri statisti, tanto per dire il livello.

Il tema vero è un altro. Il tema è che mai come in questi anni di populismo dilagante, di qualunquismo galoppante, di analfabetismo catodico e digitale, di ignorantismo e cialtronismo imperante, alcuni cardini della nostra cultura non reggano più. La democrazia, connessa alla libertà, non funziona più. E’ troppo lenta. Troppo complessa. Troppo burocratica. Troppo anonima. Troppo deludente. Forse oggi, ma a pensarci bene forse da sempre. E forse alcune formule più “semplici”, più dirette, più disintermediate operano meglio, rispondono subito alle esigenze dei cittadini. Uno decide, gli altri acclamano e buonanotte. E stiamo parlando di una deriva assolutamente bipartisan: “è tutta colpa delle multinazionali!” è una cretinata che sboccia a sinistra e a destra, “è tutta colpa degli ebrei!” è una schifezza che si coltiva a sinistra e a destra, “abbiamo abolito la povertà!” è una pagliacciata che fermenta a sinistra e a destra, “Mussolini era cattivo!” e “Stalin era cattivo pure lui!” sono definizioni grottesche sbandierate a sinistra e a destra (che significa “cattivo” nell’analisi storiografica? dove siamo, all’Asilo Mariuccia?).

Forse è la democrazia “in sé” che è troppo. Troppo per noi. Troppo per gli esseri umani. E’ questo che tormentava un eroe della libertà come Churchill, la coscienza che fosse “la peggior forma di governo eccetto tutte le altre”, ma che si basasse su una pietra d’angolo - gli esseri umani, appunto - marcia, infida e stupida, proprio come pensava Flaubert. Quanto dovremmo essere migliori per dare forma compiuta a una democrazia realizzata, basata quindi sulla libertà e sull’eguaglianza. Quanto dovremmo essere più retti e più nobili e più colti e più consapevoli e più riflessivi e più accorti e più mansueti e più lungimiranti. Quanto è impegnativo studiare tutto e dare identiche opportunità e identici diritti e identici poteri a tutti, ma proprio a tutti, ed essere capaci di premiare il merito, ma di non abbandonare gli inetti, di condannare il reato, ma di recuperare il reo, di saper vedere oltre il proprio io, la propria famiglia, il proprio microcosmo, la propria filiera, di guardare lungo e profondo, senza invidia, senza soprusi, senza invadere spazi vitali, senza segnare territori, quanto dovremmo essere capaci di informarci meglio, senza farci intortare dagli imbonitori e senza farci prendere dalla pancia, dall’istinto, dalla logica del branco, della massa, del bue senza testa, perché gli esseri umani in gruppo fanno paura e bla bla bla.

E’ troppo, diciamoci la verità. E’ una cosa per esseri perfetti e noi perfetti non siamo. E’ un incarico troppo gravoso, una missione impossibile per i nostri cervellini imberbi e i nostri cuori affannati, è per quello che la democrazia non ce la fa e in realtà non ce l’ha mai fatta neppure negli Stati più avanzati, perché è un ideale troppo alto, troppo colto, troppo ambizioso, troppo lontano dal nostro stato di natura, troppo “altro” da quello che siamo. Uno sforzo nobilissimo, ma perdente. Basta un attimo e, come nella devastante parabola raccontata da Golding nel “Signore delle mosche”, anche il più azzimato studente di college regredisce a uno stato primitivo. Quando salta il coperchio dell’“educazione” sbuca il vecchio uomo mannaro.

E questo è uno di quei momenti. La globalizzazione, l’eccesso di globalizzazione, la crisi della globalizzazione, il welfare, l’eccesso di welfare, la crisi del welfare, la politica, la crisi della politica, la politica che non conta una mazza perché quelli che contano sono altri (altri chi?) che usano i pupazzi della politica, la pandemia, la nuova pandemia, la finta pandemia, il complottismo, il dietrologismo, il terrapiattismo, l’islamismo, il sionismo - che poi è il nuovo nazismo, vero? - il gentismo, l’unovaleunismo perché se hai un ruolo o sei casta o sei ladro, e questi qui vanno a votare e il loro voto vale come il tuo e quindi siamo daccapo a Churchill. E nessuno ci capisce niente e tutto si sbriciola e chissenefrega delle elezioni e, in fondo, una volta che ci garantiscono l’apericena sul lago e il weekend a Camogli che comandino pure i cinesi - che ci importa della democrazia? - e questo è quanto resta dell’Occidente, che sembra la Mitteleuropa di un secolo fa o l’impero bizantino di sei secoli fa. E sappiamo tutti come è andata a finire.

Ps: a proposito, ascolti record al Festival di Sanremo…

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