Le variabili indipendenti
sul voto a Como

“Sembra facile”, recitava un fortunato Carosello che pubblicizzava una caffettiera. Uno slogan che non si può adottare all’elezione del presidente della Repubblica, cervellotica e complicata ad arte quasi sempre, ma a quella per il sindaco di Como sì. Sembra facile immaginare una sfida tra (fa premio l’ordine alfabetico) Barbara Minghetti, Stefano Molinari e Alessandro Rapinese più altri “imbucati” dell’ultimo momento. A parte il fatto che solo l’ultimo è certo di correre in quanto “padrone” magari un po’ più solo del suo movimento, per gli altri due si vedrà. Se la signora del teatro Sociale si sta facendo strada nel contorto labirinto del centrosinistra comasco, il coordinatore provinciale di FdI sembra lì a scaldare un posto che per ora non ha concorrenti, fatto salvo il primo cittadino uscente, Mario Landriscina che farebbe i salti mortali per un bis, ma è inviso a due terzi delle forze di centrodestra. Non però a Matteo Salvini che lo ha rimesso in campo ieri. Dietro Molinari ci sarebbero altre carte, ancora coperte e un po’ anche legate alla partita di Erba, dove la ricandidatura di Veronica Airoldi presenta venature amletiche.

Non bastassero queste, ci sono altre incognite che si proiettano sulle elezioni comunali del capoluogo lariano. Il primo luogo la data. Certo, dovrebbe essere primavera 2022, non fosse altro perché il mandato dell’attuale amministrazione sarebbe scaduto. Ma c’è il Covid che non dà più alcuna certezza su determinati domani, tra cui quelle del calendario per il voto. E non manca chi, in alcune segrete stanze, sta intonando la canzone più celebre di Loretta Goggi, quella che abbina la stagione delle primule all’attributo “maledetta” (non trascurabile, nel contesto, anche il “che fretta c’era”). Perché? Perché un voto solo locale per sindaco e Consiglio comunale sarebbe condizionato in maniera più pesante di un cargo di incudini dalla disastrosa esperienza del governo uscente di palazzo Cernezzi che favorirebbe gli altri contendenti.

Perciò davvero, al netto della pandemia, ragiona qualcuno, si deve proprio votare a maggio? Negli ultimi tempi si insinua, sempre più insistente un pissi pissi, che assume le fattezze dell’election day, quando si mettono assieme diverse consultazioni: dalle amministrative, alle regionali, alle politiche. Si dà il caso che Parlamento e Consiglio regionale lombardo debbano concludere la loro esperienza nella primavera del 2023. E se accadesse qualche mese prima, magari in autunno 2022, dopo l’estate che, com’è noto, attenua la contagiosità del virus. Allora non si potrebbe prolungare di un po’ anche l’amministrazione comasca? Molto, nel caso di Camera e Senato dipenderà da chi sarà questo benedetto successore di Sergio Mattarella al Colle. Una scelta che avrà ripercussioni su governo, salvo l’improbabile scenario che vede un mantenimento dello status quo con il bis da lui esecrato, ora anche senza il suo classico aplomb, del capo dello Stato, e Mario Draghi a palazzo Chigi.

E se fosse election day chi potrebbe trarne benefici? A Como di certo il centrodestra che sarebbe valutato ad ampio spettro con il carisma dei suoi leader nazionali e non solo per i pallidi e in gran parte inconcludenti epigoni locali. Ora avete capito da che parte arriva il venticello del triplo salto nel padellone elettorale, da giustificare con il solito ritornello che si risparmia (quando conviene a chi pensa di trarne vantaggio, naturalmente)?

Non bastasse il complesso puzzle delle alleanze e delle candidature nell’orticello comasco, ci mancano solo queste variabili indipendenti che potrebbero mandare a carte quarantotto tutti i calcoli a anche influire sulle scelte. Fantapolitica? Forse. Però su una cosa si può star tranquilli. Almeno fino all’elezione del nuovo (o vecchio) presidente della Repubblica non si muoverà foglia. Preparate i pop corn.

@angelini_f

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