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Domenica 29 Giugno 2025
Il mondo in bilico di Thomas Mann: moniti e profezie
Libri I messaggi radiofonici dello scrittore tedesco registrati a Los Angeles e trasmessi in Germania dal 1940 al 1945. Una seria riflessione sull’essenza della democrazia
Ha scritto Gregor von Rezzori, uno dei suoi massimi virtuosi del secondo Novecento e con ogni probabilità uno dei più grandi per schiette credenziali stilistiche dopo l’inarrivabile Thomas Mann, che la lingua tedesca riesce ad esprimere tutto ma possiede anche un tratto vagamente disumano e “diabolico”, perché presuppone un ordine e un rigore che nella vita reale – fatta di incongruenze, contraddizioni, sgrammaticature, anacoluti, smemoratezze e proustiane intermittenze del cuore – molto semplicemente non esistono.
Le due “civiltà”
Le sottigliezze sintattiche e lessicali del tedesco sono molto utili proprio per capire l’opera del già ricordato Thomas Mann, il quale ha più volte sostenuto che nel concetto tipicamente tedesco e romantico di “interiorità” si può ravvisare una connotazione irrazionale, regressiva e demoniaca che evidenzia e quindi condanna storicamente gli orrori del nazismo. Il suo tardo capolavoro romanzesco “Doctor Faustus”, pubblicato al termine del secondo conflitto mondiale e raccontato nel suo farsi in un meraviglioso scritto autobiografico, può essere letto come una partitura musicale che si sfrangia e ricompone in molteplici variazioni su questo tema di fondo.
Mann lo ha spiegato in un passo del celebre saggio “Perché non ritorno in Germania”, scritto nel settembre 1945 durante la stesura del “Doctor Faustus”, nell’esilio americano: «Il patto col demonio è una tentazione profondamente antica e teutonica, e un romanzo tedesco che fosse ispirato ai dolori degli ultimi anni, alla sofferenza per la Germania, doveva fatalmente avere per oggetto questa orrida promessa». Non deve quindi stupire che tutta l’opera di Mann, sia narrativa che saggistica (la saggistica, nel suo caso, è la continuazione della narrativa con altri mezzi), ruoti intorno alla lievissima ma sostanziale sfumatura semantica che separa i termini “Kultur” e “Zivilisation”. I due sostantivi in tedesco designano lo stesso concetto, quello di “civiltà”, ma lo denotano in maniera del tutto differente. Agli occhi di Mann, la vera civiltà è (o dovrebbe essere) la “Kultur” intesa come un patrimonio prevalentemente germanico, fatto di un ethos aristocratico declinato in chiave borghese e di un senso ideale più che politico della nazione, non da ultimo di un prussiano spirito di sacrificio (secondo il motto: “Essere è più che apparire”) e un rigore formale di ascendenza luterana. La “Zivilisation”, al contrario, è il tratto distintivo delle democrazie parlamentari europee, in particolare di Francia e Gran Bretagna.
Eredità umana e spirituale
La civiltà espressa dalla “Zivilisation”, tendenzialmente compromissoria, rischia di cristallizzarsi in una dialettica astratta, nel mero progresso materiale, nella sopravvalutazione dello spirito raziocinante e della logica affaristica. La questione è che anche la “Kultur” germanica, non meno della “Zivilisation” europea, conteneva al proprio interno il germe del pervertimento. Thomas Mann lo ha capito forse in ritardo, ma più di altri, con una lucidità pervasa di dolore, sofferenza e disperazione. È anche per questo motivo che lo stesso Mann, malgrado numerosi inviti, quasi sempre ipocriti e strumentali, ha rifiutato di tornare stabilmente in Germania alla fine della guerra, perché “quella” Germania non era più la “sua” Germania.
L’eredità più autentica della sua vicenda umana e spirituale va quindi ricercata non solo nelle altissime figurazioni artistiche, ma anche nelle molte domande che dalle sue pagine saggistiche sono arrivate intatte fino a noi. Lo si nota, in particolare, prendendo in considerazione due snodi decisivi: gli scritti raccolti nel volume “Moniti all’Europa” e i testi dei cinquantanove messaggi radiofonici registrati a Los Angeles e trasmessi in Germania dalla BBC di Londra dal 1940 al 1945. I messaggi radiofonici sono stati poi raccolti in un volume che riprende l’allocuzione “Deutsche Hörer!”, “Ascoltatori tedeschi!”, che si può tuttavia tradurre anche con “Tedeschi, ascoltate!”, come opportunamente suggerito da Arnaldo Benini, ottimo curatore della più recente versione italiana, che richiama nel titolo una frase di Mann contenuta in una lettera a Felix Braun del luglio 1943: «Tiro sassi alla finestra di Hitler».
Questi due volumi, nell’anniversario tondo dei centocinquant’anni dalla nascita, meritano una lettura o rilettura molto attenta, perché contengono parecchi spunti che integrano le considerazioni svolte nelle opere narrative e propongono una seria riflessione sull’essenza della democrazia e le sue istituzioni, di modo che risultano di decisiva importanza per capire anche le dinamiche che hanno caratterizzato il periodo della guerra fredda e in ultima analisi continuano a condizionare le crisi sociali, politiche e culturali del vecchio continente alla confusa e contraddittoria ricerca di un’identità perduta.
L’uomo non impara mai
Consapevole di essere un “testimone” e non un “martire”, nei messaggi agli ascoltatori tedeschi (che riportano un’immensa illusione e infine la disperazione per la patria amata e perduta) e in molti saggi contenuti in “Moniti all’Europa” Thomas Mann ricostruisce un percorso che dal “demoniaco” Lutero, passando attraverso il “Faust” di Goethe, il romanticismo e la musica di Wagner, arriva fino a Hitler, il «peggior rigurgito».
Ecco perché, a suo modo di vedere, la tragedia tedesca è piuttosto una sventura: «Non vi sono due Germanie, l’una buona e l’altra malvagia, ma vi è una Germania soltanto, il cui bene per una perfidia del diavolo degenerò in male. La Germania malvagia è quella buona finita male, è quella buona nella sventura, è il bene precipitato nella colpa e nella rovina. Io ho tutto dentro di me, ho tutto sperimentato su me medesimo». La diagnosi è ineccepibile, così come sono ineccepibili le successive considerazioni sulla democrazia quale unica possibilità di salvezza, nella speranza che l’essere umano possa infine cambiare. Resta tuttavia da chiedersi come le si può valutare ottant’anni dopo, alla luce dell’attuale situazione politica internazionale e di una spaventosa involuzione sociale e antropologica.
La risposta è tutt’altro che consolante: tutto cambia, ma nulla cambia nell’immedicabile cuore di tenebra dell’animale-uomo. Come ha scritto giustamente Arnaldo Benini a commento del discorso radiofonico del 5 gennaio 1943: «Thomas Mann è troppo ottimista. Di criminali della stoffa di Hitler ne verranno ancora e ce ne sono all’opera anche adesso. Nel 1977 l’ebreo Jean Améry, uno dei pochi superstiti di Auschwitz, scriveva, affranto, che Hitler riporta un successo postumo: invasioni, aggressioni, guerre, torture, massacri, si susseguono senza tregua. L’uomo non impara mai»
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